Corso di Lingua Napoletana, conoscere l’idioma di una capitale

 di Gabriele Giunchi

La nascita di un’idea

Ogni paese ha i suoi confini oltre i quali cambiano le uniformi, le lingue e le monete. Ma poi, per come è fatto il mondo moderno, succede che popoli fratelli siano divisi e che culture diverse convivano sotto una stessa bandiera.

Niente di male se abbondassero gli scambi di miele, un indegno spettacolo quando trionfano i tanti muri di Berlino. Reali o parietali.

Ci sono poi frontiere invisibili che solo l’arte e la cultura di un intero popolo sanno creare; stati a parte per costumi ed usi, costi e traffici diversificati, parole e musica per difendersi  e per sedurre. E quando c’è la qualità anche un dialetto diventa lingua.

Stiamo già parlando di Napoli, regina del Mare Nostrum, città di transito di tante invasioni – piemontesi compresi – che mai si è svenduta, che ha protetto il suo idioma  con la smorfia e con l’ironia, che lo ha imperlato del linguaggio altrui con il filtro più pagano e concreto: il colapasta. Che oggi è lingua in Italia e all’estero perché contagia, vince col suo teatro, la sua musica e il suo carisma, colma la differenza dai dialetti con cultura viva, furba e solare.

Or bene. Il Circolo degli occhi Dolci, che è profondamente legato alle culture del bacino del Mediterraneo – salata tinozza della civiltà, sente con immenso fastidio l’insana frenesia che avvinghia imprenditori e genti del Nord  nella corsa ai valichi alpini verso valli oltraggiate da altre frenesie, stress e veleni.

Noi guardiamo con amore alle Piramidi, ai ritmi lenti, umani, che lasciano il tempo per vivere; cioè per mangiare seduti, sedurre e sbadigliare. Vogliamo una cultura che non sacrifichi i corpi alle menti, che sia comunella e mercato.

Per queste semplici ragioni abbiamo deciso di organizzare un corso di “LINGUA NAPOLETANA – CONOSCERE L’IDIOMA DI UNA CAPITALE”, all’Università di Bologna nel novecentesimo anniversario della sua fondazione.

Perché a questa pianura padana gelosa della propria bonifica, dove morirono per caghetta gli elefanti di Annibale, a questa città rituale, grassoccia e diffidente fa bene un po’ di peperoncino; perché anche il razzismo biascicato, nella frenesia del doppio lavoro per i doppi servizi, produce veleno sociale, chiusura e non certo immagine dotta ed elegante.

Perché a Napoli fa piacere esibirsi “core in mano”: desideri, panni e guai. Creature e creanze. Miserie e nobiltà.

Perché a noi pare d’uopo schierarci, interrompere con un gioco serissimo il flusso ad imbuto tra la via Emilia e il West.

Alla ricerca di sostenitori

A voler essere esatti, l’idea nasce da Franco che, parlandone con Elisa Dorso – napoletana verace, colta e nostra cara amica – chiederà la sua fiducia per abbozzare il progetto. Lei aderirà con entusiasmo e sarà la docente di tutto il corso. Il Circolo sarà ovviamente contagiato. Dunque si procederà col nostro stile: cioè con spirito d’avventura e massima spontaneità. In salita per la verità, ma l’entusiasmo non ne risente. Seguiteci.

La Cooperativa “La Luna nel Pozzo” sarà nostra alleata e contribuirà in modo concreto al perfetto svolgimento dell’iniziativa. In che modo? Chiedendo e ottenendo la sala “Giacomo Ciamician”, l’aula magna della Facoltà di Fisica: un perfetto anfiteatro per le nove lezioni che si terranno a cadenza settimanale.

Così, dalle nostre parole libere e benintenzionate, prende forma, sede e titolo il “PRIMO CORSO DI LINGUA NAPOLETANA – CONOSCERE L’IDIOMA DI UNA CAPITALE”.

L’Università di Bologna, in occasione del 900° anniversario della sua fondazione avrà un motivo in più per festeggiare. Noi per provare a lanciare una nuova sfida.

Secondo i propositi, le lezioni saranno nove, così suddivise:

Vai alla pagina con le dispense delle lezioni

Però, c’è un però. Trovato il posto, il titolo, il programma occorre trovare qualche soldo e soprattutto gli ospiti partenopei da abbinare ad ogni lezione. Questi ultimi vanno cercati ovviamente a Napoli ed andrà corrisposto loro un contributo, qualche sponsor andrebbe invece trovato qui.

Ma il Sindaco fa l’offeso. Abbiamo scritto che Bologna è città diffidente e grassoccia con il culto del doppio lavoro per i doppi servizi… Lui dice che questa volta abbiamo sbagliato e così non abbiamo contributi dal Comune. In compenso ci aiuta un pochino la Provincia che però, essendo parente povero, non può fare più di tanto. Un pastificio locale ci prende sul serio ma non può darci soldi. Ci regala 300 pacchi di spaghetti. Decidiamo che saranno i nostro biglietto d’ingresso per la Prima.

Ora bisogna andare a Napoli, trovare gli agganci giusti per trovare artisti e incoraggiamenti, avere risonanza anche là. La nostra cassa piange. Come facciamo?

Le vie degli “Occhi Dolci” sono infinite…

…Ci ricordiamo che a Venezia – in occasione di un convegno sul viaggio, organizzato dall’Università, nel quale eravamo relatori e presentavamo il progetto del “Treno di Einstein” – avevamo conosciuto una ragazza napoletana. La chiamiamo, le spieghiamo l’ambizioso proposito, le chiediamo di ospitare l’inviato “occhio-dolce”, povero di mezzi e ricco d’intenti. Lei dice sì.

Dunque si va.

Si approda al quotidiano “Il Mattino”. Il giornalista Angelo Fiore, della pagina culturale, ci fa ponti d’oro. Il direttore, Pasquale Nonno, dice che siamo esagerati nell’enfasi su Napoli, ma ci approva. Tramite un amico impresario, contattiamo Tullio De Piscopo, per la prima lezione.

A Napoli, tutti ci dicono SI’! Tramite il quotidiano, che dedica una pagina intera al Corso di Lingua Napoletana, aderisce anche Angela Luce. Abbiamo sfondato!

Ma cosa possiamo dare noi ai nostri ospiti? Poco, ma tutto!

Faremo pagare 3.000 lire per biglietto d’ingresso e alla prima lezione ogni corsista riceverà appunto un pacco di spaghetti. Più la dispensa. (Intanto pensiamo al seguito: la Coop ci regalerà vasetti di pomodoro da usarsi come biglietto per la lezione successiva. Poi sarà la volta dei semi di basilico da piantare nei vasetti di terracotta, delle corna anti-iella, della caricatura di Eduardo, e così via).

Con i soldi incassati rimborseremo ai nostri ospiti il viaggio, l’albergo, la cena e in più doneremo una medaglia d’oro con intestazione e dedica personalizzata.

Finalmente si parte!

Giunge la prima serata e l’emozione è forte come quando si fa l’amore la prima volta. La sala è piena, ma qualche dubbio persiste: piacerà, i corsisti saranno coinvolti? Intanto è arrivato Tullio De Piscopo col suo tamburo… C’è silenzio nella grande sala. Elisa parla il suo italiano raffinato, con forte accento partenopeo.

Quando la docente gira la prima pagina del fascicolo, tutta la sala ripete lo stesso gesto: frrrr! E’ fatta! Diciamo noi. Funziona!

Dopo la “teoria” entra in scena Tullio De Piscopo. “Ho fatto la quinta elementare – dice – per me è un onore fare una lezione in una grande Università. La mia lezione è il ritmo, seguitemi!” Un po’ si commuove e non è il solo. Dopo, pochi minuti, battendo il ritmo sui banchi, l’aula magna è avvolta da un frastuono esorbitante e cadenzato, chiassoso e aggraziato, forte con le parole o senza. Napoli trionfa!

Da quella sera sarà una gara per prendere il posto davanti. Ci sarà gente in piedi, ci sarà un’eco contagiosa che sedurrà tanti cittadini e vincerà tanti scettici. Il Sindaco Imbeni, che è persona riflessiva, ci chiede scusa.

Poi verrà Angela Luce e terrà il palcoscenico in maniera strepitosa per oltre un’ora. Lei è una vera chantosa, una donna elettrizzante e ammaliante. Continuerà a stare in scena, da gran narcisa, per tutto il tempo che si fermerà a Bologna: canterà sotto i portici, “Per provare la sonorità delle volte”, dice. Reciterà in osteria fino alle tre del mattino in mezzo a tanti corsisti e commensali. Riceverà i nostri doni con gioia e ci lascerà i suoi LP con dedica. Il “Mattino” le dedicherà un paginone: il giornale è la nostra eco nel capoluogo partenopeo.

Torniamo a Napoli: comperiamo un dizionario di partenopeo, cornini e cornetti per il gran finale. Prenotiamo un fine settimana in un albergo a Marechiare, con vista golfo, per la coppia, maschi o femmine che siano, che vincerà la “Smorfia”.

L’unica lezione che non avrà ospiti sarà quella sulla cucina napoletana. In compenso siamo autorizzati a far bollire un pentolone di ragù, fatto secondo le regole partenopee. Starà sulla cattedra dieci ore e quando giungeranno i corsisti il suo aroma delizioso sarà nell’aria mentre il ragù continuerà a borbottare lievemente come un benevolo Vesuvio in miniatura…

Vai alla pagina con le dispense delle lezioni

Gli Occhi Dolci con Elisa Dorso

L’aula magna del Dipartimento di chimica gremita per il corso di lingua napoletana

Lucia Mannozzi e Carlo Lojodice

Lucia Mannozzi e Carlo Lojodice

Andrea e gli Occhi Dolci

Saverio e Danilo Maggio al mandolino e alla chitarra

La famiglia Maggio in prima fila

Rosa Maria, cantante

Giampiero Mucciaccio della cooperativa “La Luna nel Pozzo”

Ricchi premi e cotillons

Eccoci all’ultima lezione: un “Femminiello”, proveniente dai Quartireri Spagnoli, chiama i numeri della Smorfia e li abbina ai doppi sensi. (Vedi dispensa) Ogni ambo, ogni terno accendono ironie e battute perché le figure della Smorfia vengono intonate ai soggetti interessati alla vincita: uno spasso. La sala è stracolma e tutti, vincenti o meno, escono da lì più ricchi e più felici. A vincere il soggiorno a Marechiare sarà una coppia. Non diciamo di che genere.

Il Corso è finito e molti ci chiedono di replicarlo. Noi possiamo dire qui, pensando alle tante forme di razzismo, che coloro che si fanno portatori di tanta idiozia, no pasaran! L’ironia e l’intelligenza saranno sempre più forti.

Sappiamo poi che una importante banca di Napoli deciderà di regalare ai propri clienti l’agenda di Natale con i testi delle nostre lezioni. Ci fa una bella figura anche l’Università di Bologna.

Noi ci sentiamo come Annibale a Capua, ma non indugiamo negli gli ozi. Come sempre pensiamo già ad altro.

Scopriamo, tuttavia, che il successo accende dinamiche restrittive, insinuazioni, invidie. E’ un po’ come per i gironi della Coppa dei Campioni: si passa il turno ma si fa più dura.

>>> Il Beato Fughino